Dare un nome alle cose è il primo passo per conoscerle, spiegarne il significato il secondo, dire che i loro nomi vivono dentro a delle definizioni precise date da norme legislative è sicuramente il terzo per conoscerle e il primo per allontanarci da loro per sempre.
Oggi proverò a percorrere con voi i primi tre passi cercando di non spaventare nessuno più del necessario.
Quando sentiamo in tv o leggiamo da qualche parte la parola biodegradabile, nella nostra testa si scatenano libere associazioni di idee: “ok per ambiente”, “frutta e verdura”, “è qualcosa di verde” (oppure grande confusione mentale).
In ogni caso più o meno ci siamo, ma qualcosa è meno vero di altro.
Facendo due passi scopriamo che la biodegradazione è la degradazione di un materiale (a prescindere che sia di origine naturale o sintetico) attraverso processi enzimatici per azione (generalmente combinata) di microorganismi (tipo i funghi e i batteri).
La biodegradazione può essere totale (in questo caso si parla di mineralizzazione, ma non c’entrano le rocce) e cioè produrre una conversione completa in acqua, anidride carbonica e sali minerali (questo succede a lasciare frutta e verdura di fronte a casa, ma ci sono idee più intelligenti) oppure primaria/funzionale, perché le molecole del materiale, mentre questo viene sottoposto a “trasformazione strutturale”, perdono “gruppi funzionali”, ma insomma, qualcosa rimane.
La differenza tra biodegradazione totale e biodegradazione primaria è rilevante poiché spesso la biodegradazione di composti sintetici (che è del secondo tipo) dà luogo ad altri composti egualmente dannosi per l’ambiente, o anche più tossici anche se meno stabili e più facilmente degradabili. Per questo motivo biodegradazione primaria non sempre vuol dire “ok per ambiente” ed è per questo che hanno fatto le norme: per stabilire entro quali confini potesse vivere la parola “biodegradabile” in etichetta, ed entro quali confini potesse essere “ok per ambiente”.
Lo standard europeo (perché le norme e gli standard sono diversi da qui agli Stati Uniti) EN 13432 ci dice che possiamo dire che qualcosa è biodegradabile se il materiale si degrada per il 90% in 6 mesi sotto determinate condizioni di laboratorio. (Laboratory test method EN14046).
Cosa vuole invece dire compostabile?
Se qualcosa è classificato come compostabile, allora sicuramente è anche biodegradabile, ma non vale il viceversa, perché lo stesso standard EN 13432 prevede altri requisiti oltre a quello di biodegradabilità per far vivere questa definizione e perché effettivamente un dato materiale si tramuti in compost tramite il processo industriale.
Questi requisiti sono la disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale, biodegradato insieme ad altri rifiuti organici per tre mesi – quindi tempo dimezzato rispetto a quello previsto per definizione di biodegradabilità– l’ assenza di contaminazione visiva, (ma proprio che il compost viene vagliato con un setaccio di 2 mm di luce e se c’è più del 10% del materiale che non si è disintegrato allora nisba, per l’EN14045), bassi livelli di metalli pesanti, costanza di alcuni parametri chimico-fisici (tipo il pH) dopo processo di biodegradazione, assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio.
Come tutto questo ci interessa nel concreto? Beh, non posso buttare nello stesso posto una cosa solo biodegradabile e una cosa compostabile, la prima non va nell’organico, la seconda sì: quindi occorre leggere bene le etichette.
Ecco qualche esempio…
Il legno non trattato è sempre compostabile.
La carta igienica è sempre compostabile, così pure carta e cartoncino semplici a meno di additivi o patine (una rivista è biodegradabile, ma non è compostabile se patinata, e in ogni caso le graffette vanno tolte).
Questi imballi sono compostabili ma riciclare è sempre meglio di compostare, perchè riciclare porta alla produzione di un nuovo prodotto con valore equivalente o maggiore. Va bene gettarli nell’organico nel momento in cui carta e cartoncino sono sporchi di residui organici/alimentari.
Per gli oggetti in bioplastica (sacchetti, bottiglie, etc) bisogna fare fede alla dicitura: è biodegradabile e compostabile solo se esiste una dicitura con il richiamo alla norma EN 13432.
Per ulteriori approfondimenti:
https://docs.european-bioplastics.org/publications/bp/EUBP_BP_En_13432.pdf
P.iva: 07504430633
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